giovedì 11 settembre 2014

Il cervello e la malattia della memoria



Il cervello, detto più propriamente encefalo, è l'organo più complesso e misterioso presente nell'uomo e in moltissime forme animali. Il cervello umano comprende 100 miliardi di cellule nervose, chiamate neuroni e ancora più cellule ausiliarie. Come le comuni cellule, i neuroni hanno un nucleo, un citoplasma ed una membrana cellulare. Però, a differenza delle normali cellule, i neuroni hanno prolungamenti specializzati chiamati dendriti e assoni, che servono ad assicurare uno scambio di informazioni rispettivamente diretti al corpo cellulare e fuori da esso mediante segnali elettrochimici; sono inoltre dotati di sinapsi (strutture specializzate per la comunicazione) e di neurotrasmettitori. L'encefalo è formato da due emisferi, destro e sinistro, simmetrici, interconnessi mediante fasci di fibre nervose (formanti il corpo calloso).
L'emisfero sinistro controlla i movimenti e la sensibilità della parte destra del corpo, e viceversa.
L'emisfero sinistro è più competente del destro riguardo al pensiero, al linguaggio ed alla logica.
L'emisfero destro è specializzato nel pensiero analogico, per il sistema sensomotorio e per il linguaggio musicale ed artistico.
La corteccia cerebrale, la sostanza grigia che ricopre gli emisferi, molto più grande e complessa nell'uomo che in qualsiasi altro animale, pur avendo uno spessore di soli tre millimetri, è formata da ben sei strati, ed è la parte del cervello umano che svolge funzioni superiori. Le informazioni vengono elaborate ed organizzate nella corteccia cerebrale, che è la sede del pensiero, del linguaggio e del senso estetico e musicale.I due solchi principali della corteccia cerebrale suddividono ciascun emisfero in quattro lobi, ciascuno dei quali svolge specifiche funzioni.

I lobi frontali sono implicati in ogni forma di elaborazione del pensiero, nella creatività, nelle decisioni, nella risoluzione dei problemi, e presiedono anche al controllo muscolare.
I lobi temporali, posti dietro alle tempie, sono responsabili dell'udito, ma sono anche implicati nelle funzioni della memoria e nell'elaborazione delle emozioni.
I lobi parietali presiedono alla ricezione e all'elaborazione delle informazioni sensoriali che provengono da tutto il corpo. E' qui che "montiamo" la visione del nostro mondo, unendo le lettere in parole e le parole in frasi, pensieri, concetti.
I lobi occipitali, infine, posti nella parte posteriore di ogni emisfero, sono implicati nella visione.
La zona dove i quattro lobi si incontrano è la principale area del cervello dove avviene l'integrazione delle informazioni sensoriali. Diciamo, più precisamente, che l'integrazione è generale, estesa cioè a tutto il cervello.
Infatti, dagli studi e dagli esperimenti sulla connettività cerebrale, e con le tecniche di neuroimaging funzionale dell'attività cerebrale durante il suo funzionamento normale e patologico, si è giunti ad una conclusione importante, che rappresenta il concetto fondamentale nelle Neuroscienze: l' integrazione funzionale, secondo cui ogni parte del Sistema Nervoso ha una specifica funzione, e la correlazione di tali parti è alla base del corretto funzionamento di tutto il Sistema Nervoso Centrale.





Malattie legate al cervello

I disturbi mentali sono sindromi o condizioni psicologiche e comportamentali che deviano significativamente da quelle caratteristiche delle persone che godono di buona salute mentale.
Una causa frequente dei disturbi mentali è dovuta ad un alterato meccanismo dei neurotrasmettitori.
Quando la causa è un danno cerebrale, transitorio o permanente, si parla più precisamente di disturbo mentale organico (alterazioni del cervello), come ad esempio la demenza, che consiste in un deterioramento delle emozioni e delle funzioni mentali, in particolare la memoria e la capacità di apprendimento; un tipo di demenza molto diffuso è la malattia di Alzheimer; altri tipi di demenze sono la malattia di Pick, la demenza senile, e quelli da cause organiche primarie, come l'alterazione del sistema endocrino, processi infettivi (Aids, encefaliti), insorgenza di tumori).




La malattia della memoria: ALZHEIMER

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. E’ la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implicaserie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l’acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose.La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. All’esame autoptico, il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta in seguito a una insolita malattia mentale. Infatti, evidenziò la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate, i viluppi neuro-fibrillari. Oggi le placche formate da proteine amiloidi e i viluppi, vengono considerati gli effetti sui tessuti nervosi di una malattia di cui, nonostante i grossi sforzi messi in campo, ancora non si conoscono le cause.
Il 99% dei casi di malattia di Alzheimer è “sporadico”, ossia si manifesta in persone che non hanno una chiara familiarità. Solo l’1% dei casi di malattia di Alzheimer è causata da un gene alterato che ne determina la trasmissione da una generazione all’altra. Ad oggi sono note alterazioni di tre diversi geni che possono portate alla malattia di Alzheimer. La causa sia dei casi sporadici che di quelli familiari pare risiedere in un’alterazione del metabolismo di una proteina, detta APP (proteina precursore di beta amiloide) che per ragioni ancora ignote a un certo momento della vita inizia ad essere metabolizzata in modo alterato, portando alla formazione di una sostanza neurotossica (appunto la beta amiloide) che si accumula lentamente nel cervello portando a morte neuronale progressiva.
Esistono inoltre alcuni fattori di rischio, fattori cioè che determinano una generica predisposizione allo sviluppo della malattia, leggermente superiore a quella manifestata da soggetti che non presentano tali fattori.
Generalmente, le forme ereditarie hanno un’alta penetranza, cioè molte persone di una famiglia (3 o più) sono colpite dalla malattia. Inoltre, la maggior parte delle forme ereditarie esordiscono in età relativamente giovanile (prima dei 65-70 anni) e l’età di esordio dei primi disturbi è relativamente stabile all’interno della stessa famiglia. Maggiore è il numero di persone affette nella stessa famiglia e maggiore è la probabilità che la malattia abbia una causa ereditaria, così come più l’età all’esordio è giovanile e maggiore è la probabilità.
Esistono inoltre fattori ambientali che possono giocare un ruolo importante, come ad esempio, traumi o esposizione a sostanze tossiche (alluminio, idrocarburi aromatici). Il fattore di rischio più rilevante è l’età: come ampiamente dimostrato da numerosi studi, l’incidenza e la prevalenza di questa malattia aumenta marcatamente con l’età.
Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, tuttavia il più precoce ed evidente sintomo è in genere una perdita significativa della memoria che si manifesta all’inizio soprattutto con difficoltà nel ricordare eventi recenti e successivamente si aggrava con lacune in ambiti sempre più estesi. Oggi sappiamo che la perdita di memoria è la diretta espressione della perdita, nel cervello, di materia grigia, in particolari aree cruciali per i nostri ricordi, come l’ippocampo, una struttura cerebrale deputata espressamente alla formazione ed al consolidamento memorie. Spesso, a questo primo sintomo, si associano altri disturbi quali: difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane, con conseguente perdita dell’autonomia; disturbi del linguaggio con perdita della corretta espressione verbale dei pensieri, denominazione degli oggetti oppure impoverimento del linguaggio e ricorso a frasi stereotipate. Altre volte il sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato anche dal disorientamento spaziale, temporale e topografico.
Frequenti sono anche alterazioni della personalità: più precisamente l’anziano appare meno interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure ripetitivo. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari. Talvolta l’inizio della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Nella grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall’esordio della malattia il disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all’aiuto di uno specialista perché i sintomi iniziali dell’Alzheimer sono spesso attribuiti all’invecchiamento, allo stress oppure a depressione. La suddivisione del decorso della malattia in fasi ha lo scopo unicamente di orientare chi si occupa del malato sulle caratteristiche evolutive delle malattia al fine di consentirgli un’adeguata pianificazione dell’assistenza e una maggior consapevolezza di quanto potrà accadere e come affrontarlo. Il decorso della malattia varia infatti da persona a persona. Possiamo comunque individuare 3 principali fasi di malattia.
1. Demenza lieve (durata media 2-4 anni):
è caratterizzata da disturbi di memoria, come dimenticare i nomi e i numeri di telefono, ma, data la natura non grave di questi segni, possono passare inosservati o essere giustificati come conseguenze naturali dell’età. La perdita progressiva della memoria, soprattutto quella recente, può interferire con il normale svolgimento degli impegni quotidiani. Il soggetto ha difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo, per esempio può avere problemi a ritrovare la strada di casa. Anche il linguaggio comincia ad essere compromesso: compaiono difficoltà a produrre frasi adeguate a supportare il pensiero, vengono utilizzate pause frequenti per incapacità a “trovare la parola giusta”. L’umore diviene più depresso a seguito della consapevolezza della propria progressiva disabilità, oppure la reazione può essere caratterizzata da manifestazioni aggressive e ansiose.
2. Demenza moderata (durata media 2-10 anni):è la fase temporalmente più duratura in genere, ed è caratterizzata da un aggravamento dei sintomi presentati nella fase precedente. Le dimenticanze sono sempre più significative; aumenta l’incapacità di ricordare i nomi dei famigliari con la possibilità di confonderli, cosi come aumenta il disorientamento topografico, spaziale e temporale. In questo stadio la necessità di supervisione e assistenza nelle attività quotidiane si fa più urgente, il paziente tende a trascurare il proprio aspetto, la propria dieta e le attività quotidiane; le turbe dell’umore e del comportamento divengono più rilevanti.
3. Demenza grave (durata media 3 anni):
è la fase terminale della malattia durante la quale la persona malata è completamente dipendente e richiede assistenza continua e totale per mantenersi in vita. E’ caratterizzata da una perdita totale della capacità di parlare e capire, può però essere mantenuta fino a questa fase la capacità di esprimere emozioni attraverso il viso. Il soggetto diviene totalmente incapace di riconoscere i propri famigliari, di compiere gli atti quotidiani della vita come vestirsi, mangiare, lavarsi, riconoscere i propri oggetti personali e la propria casa. Il movimento è ormai totalmente compromesso fino all’allettamento, non vi è più alcun controllo sfinterico.




Curiosità:

UOMINI E DONNE: DUE TESTE DIVERSE

Uomini e donne hanno la stessa intelligenza, ma ragionano con parti differenti del cervello. La conclusione è quella dei ricercatoridell'Università della California (a Irvine) e frutto di una ricerca pubblicata sulla rivista NeuroImage. Sarebbero infatti diverse, tra uomini e donne, le aree del cervello attivate per il processo di ragionamento.
A parità di quoziente intellettivo, spiegano gli scienziati, gli uomini hanno sei volte e mezzo la materia grigia delle donne, che è collegata all'intelligenza generale, mentre le donne hanno dieci volte lamateria bianca dell'uomo, che ha la funzione di relazionare le aree cerebrali. Richard Haier, che ha condotto lo studio, cerca poi di interpretare i risultati ottenuti: “Questo suggerisce quasi che nel corso dell’evoluzione umana si siano sviluppati due differenti tipi di cervelli ed entrambi sono stati in grado di adattarsi e di affrontare la vita sul nostro pianeta.” A sostenere la tesi anche il fatto che le donne utilizzano in maniera dominante il lobo frontale, invece l'uomo è tendenzialmente portato a coinvolgere, nel processo di ragionamento, una zona più vasta di corteccia. Queste scoperte non sono semplici curiosità scientifiche, ma potrebbero avere una grande importanza per lo studio di terapie riguardanti la demenza e le malattie neurodegenerative. Per portare a termine la ricerca, Richard Haier e la sua equipe hanno impiegato dei sofisticati scanner per la risonanza magnetica, incaricati di osservare le zone del cervello coinvolte durante i test intellettivi e gli stimoli a cui sono stati sottoposti i volontari dello studio. Con tale metodologia di lavoro e grazie anche a software avanzati, gli scienziati dell'Università della California sono così riusciti ad ottenere una mappatura delle zone cerebrali coinvolte nel processo di ragionamento e a seguire l'attivazione dei neuroni in relazione a stimoli diversi.

martedì 7 gennaio 2014

Un regalo per LUCA!

Viene chiamato LUCA, acronimo di Last Universal Common Ancestor, l'ultimo antenato comune universale, in pratica l'origine di tutti gli organismi viventi. Ma finora su di esso si poteva dire ben poco: secondo molti scienziati non era molto più di un assemblaggio di molecole in una zuppa primordiale dalla quale, sotto la pressione evolutiva dell'ambiente, si sono sviluppate forme più complesse. Altri ritengono che avesse già una struttura alquanto complessa, simile a una cellula, e i dati raccolti in uno studio condotto da ricercatori dell'Università dell'Illinois e pubblicata suBiology Direct sembrano far pendere la biancia a favore di quest'ultima possibilità.L'elemento chiave è rappresentato da una struttura, presente nei tre domini della vita: batteri, archea ed eucarioti (piante, animali, funghi, alghe e tutto il resto), che andrebbe a tutti gli effetti considerata un organello. 
Poiché tutti siamo nati da lui, ma nessuno a Natale lo ricorda mai, il nostro professore di scienze ci ha invitato a fargli un regalo; io ho deciso di regalargli un libro di Steve Jones intitolato "La genetica a fumetti" in modo da allietarlo con una piacevole lettura e fargli capire il meccanismo a lui sconosciuto del DNA. 



sabato 14 settembre 2013

Perchè ai pinguini piace freddo?

Ciccia antiproiettile
Quanto bisognerebbe essere grassi per risultare a prova di proiettile? Ovvero, quanto dev'essere spesso lo stato superficiale di grasso affinché questo sia in grado di salvare una persona da un colpo di pistola e di evitare la lesione degli organi vitali?
Il danno provocato da una pallottola si misura secondo due parametri: la profondità di penetrazione e la quantità di tessuto danneggiato per centimetro di penetrazione. Questi due parametri di solito sono studiati sparando su dei blocchi di gel le cui proprietà fisiche, come la densità e la viscosità, sono analoghe a quelle del corpo umano; i proiettili della polizia hanno un diametro di 9 millimetri e un'energia iniziale di 500 joule e sparati a una distanza di 5 metri penetrano in questi blocchi per una trentina di centimetri.
Per stimare il peso di uno strato di grasso a prova di proiettile, occorre partire dalla superficie della persona "sotto tiro". La superficie di un corpo è pari alla radice quadrata del prodotto della sua altezza per il suo peso , il tutto diviso per 60, secondo la formula di Mosteller. Un uomo di 175 centimetri e di 75 chili ha dunque una superficie di 1,91 metri quadrati. Per coprire una superficie di 1,91 metri quadrati con uno strato di 30 centimetri di grasso, con una densità di un grammo per centimetro cubo, servirebbero come minimo 573 chili. Ai quali devono essere aggiunti i 75 chili del corpo. Il risultato è che per essere a prova di proiettile bisognerebbe pesare, suppergiù, 650 chili.

C'è sbornia e sbornia
Ho recentemente raccolto un volantino pubblicato dalla Health Scotland dove si dice che più scuro è il colore di una bevanda alcolica, più gravi sono i postumi di una sbronza. Le conseguenze di una bevuta di whisky, vino rosso o brandy, insomma, sarebbero più pesanti di una bevuta di vino bianco o vodka. E questo perchè le bevande scure conterrebbero sostanze chiamate congeneri. Ho provato a verificare e devo dire che le cose sembrano andare proprio così. Che cosa sono, allora, i congeneri e perchè hanno quest'effetto?
Tante persone consumano alcolici per il loro contenuto di etanolo. Molte di queste bevande, tuttavia, contengono anche una certa quantità di sostanze biologicamente attive chiamate congeneri. Tra i congeneri ci sono molecole organiche complesse, come i polifenoli, alcol come il metanolo, e l'istamina. Tali composti vengono prodotti insieme all'etanolo durante i processi di fermentazione o di invecchiamento della bevanda.
I congeneri sono ritenuti tra i responsabili degli effetti inebrianti delle bevande alcoliche e delle conseguenze di una sbornia: è stato dimostrato che chi beve alcolici a base di etanolo puro come la vodka, ha effetti più lievi di chi beve alcolici più scuri come il brandy, il whisky e il vino rosso, che hanno un più alto contenuto di congeneri.
Il principale responsabile dei postumi di una sbornia è il metanolo. L'organismo umano metabolizza il metanolo in modo simile all'etanolo, ma il prodotto finale è differente. L'etanolo genera l'aldeide acetica. Il primo prodotto della degradazione del metanolo, invece, è la formaldeide, che è più tossica dell'aldeide acetica e, in alte concentrazioni, può portare alla cecità o alla morte. L'etanolo inibisce il metabolismo del metanolo, il che può spiegare il motivo per cui bere un bicchierino di liquore il giorno successivo a una sbornia può alleviarne i sintomi.
Gli studiosi hanno dimostrato che le conseguenze più pesanti di una bevuta sono attribuibili al brandy poi, in ordine decrescente, vengono il vino rosso, il rum, il whisky, il vino bianco, il gin, la vodka e l'etanolo puro.




L'impulso ad interrogarsi sulla realtà che ci circonda e il desiderio di sondare l'ignoto sono alla base del metodo scientifico. Ma cosa succede quando le domande o le curiosità sono decisamente insolite o assolutamente spiazzanti? Questo libro risponde ad alcuni dei quesiti più intriganti, delle questioni più bizzarre e dei casi più stupefacenti.
Questo divertente compendio di pillole di scienza risulterà irresistibile per chiunque sia interessato alle piccole domande della vita quotidiana.
Certamente non risolverà il mistero che si cela dietro l'esistenza umana, ma più utilmente vi spiegherà per quanto tempo si possa vivere di sola birra. Di sicuro non indicherà la via per salvare il nostro pianeta dal disagio ecologico, ma vi farà scoprire se la carta igienica colorata inquina di più quella bianca. Magari non rivelerà se ci sia vita intelligente nell'universo, ma vi insegnerà tutti gli indispensabili trucchi per diventare un fossile.

domenica 26 maggio 2013

" Sapere sia di sapere una cosa, sia di non saperla: questa è conoscenza. "

Sin dall'antichità ci si pone molte domande su come avvenga la conoscenza per gli uomini, di questo particolare argomento ci sono giunti molti scritti di filosofi grechi, come ad esempio Platone.
Vorrei riportare qui sotto un passo del Teeteto di Platone in cui Socrate interroga il giovane matematico Teeteto su che cosa sia la conoscenza.


 ">SOCRATE: (…) Dunque: niente, di per sé, è uno; e a niente si può attribuire una determinazione o una qualità: se lo si dice grande, apparirà anche piccolo, se pesante, leggero, e così per tutto, perché niente è uno, né ha precisa determinazione o qualità. Tutto ciò che noi diciamo che è, diviene perché muta luogo, si muove, si mescola con altro; e perciò non è corretto dire che è, perché niente mai è, ma sempre diviene. E su questo punto tutti i sapienti, ad eccezione di Parmenide, bisogna dire che concordano: Protagora, Eraclito, Empedocle e i poeti più grandi. (...)
>TEETETO: Come dici?
>SOCRATE: Seguiamo l'affermazione che niente in sé e per sé è uno. Nero e bianco e ogni altro colore, allora, ci appariranno generati dall'incontro degli occhi con qualcosa che si muove verso essi, e ciò che diciamo questo o quel colore non sarà né ciò che va verso gli occhi, né gli occhi, bensì qualcosa che si genera tra essi e che si genera in modo peculiare per ciascuno. O non vorrai sostenere che un colore si presenti a un cane o a un altro animale come si presenta a te?
 >TEETETO: No, certo, per Zeus!
>SOCRATE.: E c'è qualche cosa che appaia uguale a un altro uomo e a te? Sei convinto di questo? O, ancora meglio, sei convinto che neanche a te stesso una cosa appare la stessa, per il fatto che neppure tu sei mai uguale a te stesso? (...)
>TEETETO: Per gli dèi, Socrate, io sono straordinariamente meravigliato da queste apparenze; anzi talora, se mi metto a pensarci, mi vengono le vertigini.
 >SOCRATE: È evidente che Teodoro non si è sbagliato a giudicare la tua natura. Quel che tu provi, l'essere pieno di meraviglia, è infatti proprio del filosofo. Sì, il principio della filosofia non è altro che questo, e chi ha detto che Iride è figlia di Taumante [il verbo greco "thaumàzein" significa “meravigliarsi”, NdR] non mi pare abbia sbagliato genealogia. Ma capisci ormai come questi problemi derivino dalle teorie di Protagora, o no?
>TEETETO: Non ancora, mi sembra, Socrate. (...)
>SOCRATE: Se tutto è come appare, la parola "essere" va eliminata, anche se noi stessi l'abbiamo usata, per abitudine o per ignoranza. Così dicono questi sapienti; non solo: ma nemmeno va usato "qualcosa" o "me" o "questo" né alcun'altra parola che indichi qualcosa di stabile. Vanno invece adoperate espressioni conformi alla natura delle cose, e cioè che si generano, si fanno, periscono, si alterano. Se uno infatti rende stabile qualcosa con la parola, si espone subito a essere confutato.(...) Allora, Teeteto, ti sembrano di tuo gusto queste cose?
>TEETETO: Non saprei, Socrate. Non so neanche se tu le pensi o voglia mettere alla prova me.
>SOCRATE: Ma caro, non ricordi che io non so? (...)

sabato 18 maggio 2013

DALTONISMO

Il daltonismo è un'anomalia nella percezione del colore, comunemente il rosso e il verde, mentre più raramente il blu o la totale cecità ai colori; è un difetto genetico che colpisce l'8% degli uomini e solo lo 0.5% delle donne.
Il termine daltonismo è dovuto al chimico inglese John Dalton (1766-1844) che per primo la descrisse; Dalton era affetto da questo problema e pur non essendo in grado di spiegare i motivi di questo suo difetto descrisse dettagliatamente le caratteristiche della sua anomala percezione visiva in un trattato.
Questa malattia viene trasmessa da un gene presente sul cromosoma X: se questo è difettoso nel maschio comparirà sicuramente la malattia nel suo fenotipo, mentre nella donna potrebbe comparire nel genotipo, ma non essere ammalata, poichè presenta due cromosomi X e il primo può sopperire al difetto del secondo.
Le donne sono quindi daltoniche soltanto nel raro caso in cui entrambi i cromosomi siano difettosi.
Femmine affette da daltonismo possono nascere soltanto nel caso che il padre sia daltonico e che la madre sia portatrice, mentre i maschi affetti da daltonismo nascono da madre portatrice e da padre senza daltonismo.
Per diagnosticare le varie forme di daltonismo esistono appositi test visivi come
le tavole pseudoisocromatiche di Ishikara o
il test di Farnsworth. I test per la verifica del daltonismo sono concepiti in modo tale da indurre risposte errate nel caso sia presente un'anomalia della percezione cromatica. Allo stato attuale non esiste una terapia per il daltonismo genetico, anche se sono allo studio lenti correttive specifiche per i soggetti affetti da daltonismo.























martedì 14 maggio 2013

MORGAN (non il cantante, lo scienziato...)

Gli esperimenti condotti da Morgan sul moscerino della frutta si svolsero in maniera simile a quelli sui piselli di Mendel. Questi moscerini avevano una particolare caratteristica: gli occhi rossi (la più frequente, quindi fenotipo normale); dopo una serie di esperimenti comparve un insetto con occhi bianchi. Il mutante maschio fu incrociato con una femmina con occhi rossi, e si ottenne una generazione con occhi rossi. Il carattere occhi rossi doveva essere dominante su quello occhi bianchi. Fu effettuato un nuovo testcross fra la prima generazione, e, sebbene si ottenessero sia individui con occhi rossi che occhi bianchi, questi non rispettavano il rapporto 3:1 atteso dagli esperimenti di Mendel. Il carattere non era quindi autosomico o derivante da un unico gene. Si accorsero che tutti gli individui della seconda generazione con occhi bianchi erano maschi; le femmine sembravano manifestare solo il carattere occhi rossi. Successivamente furono incrociati il primo maschio con occhi bianchi della seconda generazione e una delle femmine con occhi rossi della prima generazione (che portava il gene occhi bianchi in forma eterozigote). Da questo testcross si ottennero femmine e maschi con occhi bianchi. Questo significava dunque che il carattere occhi bianchi era protetto nella femmina dalla presenza di una doppia copia del cromosoma X, mentre nel maschio non era presente una copia del gene in quanto mancante del secondo cromosoma X. Fu così dimostrata la presenza di geni localizzati sui cromosomi sessuali e la presenza del carattere del colore degli occhi sul cromosoma X.



martedì 7 maggio 2013

ABATE FURBETTO ESPERIMENTO PERFETTO

Gregor Mendel è considerato il fondatore della genetica; l'abate, nei suoi esperimenti, utilizzò le piante di pisello poichè le leguminose hanno un fiore maschio sterilizzabile molto facilmente, i cui risultati sono visibili ad occhio nudo.
Mendel effettuando fecondazioni artificiali incrociò piante con caratteristiche scelte da lui e utilizzò un metodo innovativo.
Utilizzando piante di pisello, egli incrociò tra loro linee pure, ossia piante che conservano gli stessi caratteri da una generazione all'altra senza la comparsa di caratteri nuovi; osservò che nella prima generazione tutti i discendenti mostravano solo uno dei due alleli dei genitori, definì questo carattere dominante; l'altro carattere venne chiamato recessivo.
L'abate formo così la legge della dominanza: dall'incrocio di due organismi che differiscono per una coppia di caratteri si ottengono solo individui che mostrano il carattere dominante.
Successivamente Mendel incrociò tra loro questi individui ottenuti dal primo incrocio e notò che nella seconda generazione i caratteri dominanti compaiono nel rapporto di 3:1 circa; formulò così la legge della segregazione: ogni individuo ha coppie di fattori per ogni unità ereditaria e i membri di una coppia si separano nella formazione di gameti. 
In seguito egli prese in considerazione gli incroci tra individui che differivano per due o più caratteri, incrociando tra loro gli eterozigoti e formulò la legge dell'assortimento indipendente: dall'incrocio di due eterozigoti della prima generazione si ottiene una seconda generazione in cui i caratteri si separano in maniera del tutto indipendente dando origine a nuove combinazioni in proporzioni definite.
Mendel ebbe molta fortuna nel scegliere piselli che seguissero le sue leggi, ma, nonostante questo, i risultati veramente ottenuti non furono così perfetti come scrisse. Si è scoperto solo successivamente che egli imbrogliava eliminando ciò che non tornava in modo da rendere i suoi risultati plausibili.
Mendel non fu solo fotunato, ma anche imbroglione.
Pensa un po'!, questi abati...
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