giovedì 11 settembre 2014

Il cervello e la malattia della memoria



Il cervello, detto più propriamente encefalo, è l'organo più complesso e misterioso presente nell'uomo e in moltissime forme animali. Il cervello umano comprende 100 miliardi di cellule nervose, chiamate neuroni e ancora più cellule ausiliarie. Come le comuni cellule, i neuroni hanno un nucleo, un citoplasma ed una membrana cellulare. Però, a differenza delle normali cellule, i neuroni hanno prolungamenti specializzati chiamati dendriti e assoni, che servono ad assicurare uno scambio di informazioni rispettivamente diretti al corpo cellulare e fuori da esso mediante segnali elettrochimici; sono inoltre dotati di sinapsi (strutture specializzate per la comunicazione) e di neurotrasmettitori. L'encefalo è formato da due emisferi, destro e sinistro, simmetrici, interconnessi mediante fasci di fibre nervose (formanti il corpo calloso).
L'emisfero sinistro controlla i movimenti e la sensibilità della parte destra del corpo, e viceversa.
L'emisfero sinistro è più competente del destro riguardo al pensiero, al linguaggio ed alla logica.
L'emisfero destro è specializzato nel pensiero analogico, per il sistema sensomotorio e per il linguaggio musicale ed artistico.
La corteccia cerebrale, la sostanza grigia che ricopre gli emisferi, molto più grande e complessa nell'uomo che in qualsiasi altro animale, pur avendo uno spessore di soli tre millimetri, è formata da ben sei strati, ed è la parte del cervello umano che svolge funzioni superiori. Le informazioni vengono elaborate ed organizzate nella corteccia cerebrale, che è la sede del pensiero, del linguaggio e del senso estetico e musicale.I due solchi principali della corteccia cerebrale suddividono ciascun emisfero in quattro lobi, ciascuno dei quali svolge specifiche funzioni.

I lobi frontali sono implicati in ogni forma di elaborazione del pensiero, nella creatività, nelle decisioni, nella risoluzione dei problemi, e presiedono anche al controllo muscolare.
I lobi temporali, posti dietro alle tempie, sono responsabili dell'udito, ma sono anche implicati nelle funzioni della memoria e nell'elaborazione delle emozioni.
I lobi parietali presiedono alla ricezione e all'elaborazione delle informazioni sensoriali che provengono da tutto il corpo. E' qui che "montiamo" la visione del nostro mondo, unendo le lettere in parole e le parole in frasi, pensieri, concetti.
I lobi occipitali, infine, posti nella parte posteriore di ogni emisfero, sono implicati nella visione.
La zona dove i quattro lobi si incontrano è la principale area del cervello dove avviene l'integrazione delle informazioni sensoriali. Diciamo, più precisamente, che l'integrazione è generale, estesa cioè a tutto il cervello.
Infatti, dagli studi e dagli esperimenti sulla connettività cerebrale, e con le tecniche di neuroimaging funzionale dell'attività cerebrale durante il suo funzionamento normale e patologico, si è giunti ad una conclusione importante, che rappresenta il concetto fondamentale nelle Neuroscienze: l' integrazione funzionale, secondo cui ogni parte del Sistema Nervoso ha una specifica funzione, e la correlazione di tali parti è alla base del corretto funzionamento di tutto il Sistema Nervoso Centrale.





Malattie legate al cervello

I disturbi mentali sono sindromi o condizioni psicologiche e comportamentali che deviano significativamente da quelle caratteristiche delle persone che godono di buona salute mentale.
Una causa frequente dei disturbi mentali è dovuta ad un alterato meccanismo dei neurotrasmettitori.
Quando la causa è un danno cerebrale, transitorio o permanente, si parla più precisamente di disturbo mentale organico (alterazioni del cervello), come ad esempio la demenza, che consiste in un deterioramento delle emozioni e delle funzioni mentali, in particolare la memoria e la capacità di apprendimento; un tipo di demenza molto diffuso è la malattia di Alzheimer; altri tipi di demenze sono la malattia di Pick, la demenza senile, e quelli da cause organiche primarie, come l'alterazione del sistema endocrino, processi infettivi (Aids, encefaliti), insorgenza di tumori).




La malattia della memoria: ALZHEIMER

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa 500mila ammalati. E’ la forma più comune di demenza senile, uno stato provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implicaserie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale. Nei pazienti affetti da demenza di Alzheimer si osserva una perdita di cellule nervose nelle aree cerebrali vitali per la memoria e per altre funzioni cognitive. Si riscontra, inoltre, un basso livello di quelle sostanze chimiche, come l’acetilcolina, che lavorano come neurotrasmettitori e sono quindi coinvolte nella comunicazione tra le cellule nervose.La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima volta nel 1907 ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. All’esame autoptico, il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta in seguito a una insolita malattia mentale. Infatti, evidenziò la presenza di agglomerati, poi definiti placche amiloidi, e di fasci di fibre aggrovigliate, i viluppi neuro-fibrillari. Oggi le placche formate da proteine amiloidi e i viluppi, vengono considerati gli effetti sui tessuti nervosi di una malattia di cui, nonostante i grossi sforzi messi in campo, ancora non si conoscono le cause.
Il 99% dei casi di malattia di Alzheimer è “sporadico”, ossia si manifesta in persone che non hanno una chiara familiarità. Solo l’1% dei casi di malattia di Alzheimer è causata da un gene alterato che ne determina la trasmissione da una generazione all’altra. Ad oggi sono note alterazioni di tre diversi geni che possono portate alla malattia di Alzheimer. La causa sia dei casi sporadici che di quelli familiari pare risiedere in un’alterazione del metabolismo di una proteina, detta APP (proteina precursore di beta amiloide) che per ragioni ancora ignote a un certo momento della vita inizia ad essere metabolizzata in modo alterato, portando alla formazione di una sostanza neurotossica (appunto la beta amiloide) che si accumula lentamente nel cervello portando a morte neuronale progressiva.
Esistono inoltre alcuni fattori di rischio, fattori cioè che determinano una generica predisposizione allo sviluppo della malattia, leggermente superiore a quella manifestata da soggetti che non presentano tali fattori.
Generalmente, le forme ereditarie hanno un’alta penetranza, cioè molte persone di una famiglia (3 o più) sono colpite dalla malattia. Inoltre, la maggior parte delle forme ereditarie esordiscono in età relativamente giovanile (prima dei 65-70 anni) e l’età di esordio dei primi disturbi è relativamente stabile all’interno della stessa famiglia. Maggiore è il numero di persone affette nella stessa famiglia e maggiore è la probabilità che la malattia abbia una causa ereditaria, così come più l’età all’esordio è giovanile e maggiore è la probabilità.
Esistono inoltre fattori ambientali che possono giocare un ruolo importante, come ad esempio, traumi o esposizione a sostanze tossiche (alluminio, idrocarburi aromatici). Il fattore di rischio più rilevante è l’età: come ampiamente dimostrato da numerosi studi, l’incidenza e la prevalenza di questa malattia aumenta marcatamente con l’età.
Le caratteristiche cliniche della malattia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto, tuttavia il più precoce ed evidente sintomo è in genere una perdita significativa della memoria che si manifesta all’inizio soprattutto con difficoltà nel ricordare eventi recenti e successivamente si aggrava con lacune in ambiti sempre più estesi. Oggi sappiamo che la perdita di memoria è la diretta espressione della perdita, nel cervello, di materia grigia, in particolari aree cruciali per i nostri ricordi, come l’ippocampo, una struttura cerebrale deputata espressamente alla formazione ed al consolidamento memorie. Spesso, a questo primo sintomo, si associano altri disturbi quali: difficoltà nell’esecuzione delle attività quotidiane, con conseguente perdita dell’autonomia; disturbi del linguaggio con perdita della corretta espressione verbale dei pensieri, denominazione degli oggetti oppure impoverimento del linguaggio e ricorso a frasi stereotipate. Altre volte il sintomo che si associa al disturbo di memoria può essere rappresentato anche dal disorientamento spaziale, temporale e topografico.
Frequenti sono anche alterazioni della personalità: più precisamente l’anziano appare meno interessato ai propri hobby o al proprio lavoro, oppure ripetitivo. La capacità di giudizio è diminuita spesso precocemente, cosicché il paziente manifesta un ridotto rendimento lavorativo e può essere incapace di affrontare e risolvere problemi anche semplici relativi ai rapporti interpersonali o familiari. Talvolta l’inizio della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare. Nella grande maggioranza dei casi, solo a distanza di 1-2 anni dall’esordio della malattia il disturbo della memoria è tale che i familiari ricorrono all’aiuto di uno specialista perché i sintomi iniziali dell’Alzheimer sono spesso attribuiti all’invecchiamento, allo stress oppure a depressione. La suddivisione del decorso della malattia in fasi ha lo scopo unicamente di orientare chi si occupa del malato sulle caratteristiche evolutive delle malattia al fine di consentirgli un’adeguata pianificazione dell’assistenza e una maggior consapevolezza di quanto potrà accadere e come affrontarlo. Il decorso della malattia varia infatti da persona a persona. Possiamo comunque individuare 3 principali fasi di malattia.
1. Demenza lieve (durata media 2-4 anni):
è caratterizzata da disturbi di memoria, come dimenticare i nomi e i numeri di telefono, ma, data la natura non grave di questi segni, possono passare inosservati o essere giustificati come conseguenze naturali dell’età. La perdita progressiva della memoria, soprattutto quella recente, può interferire con il normale svolgimento degli impegni quotidiani. Il soggetto ha difficoltà ad orientarsi nello spazio e nel tempo, per esempio può avere problemi a ritrovare la strada di casa. Anche il linguaggio comincia ad essere compromesso: compaiono difficoltà a produrre frasi adeguate a supportare il pensiero, vengono utilizzate pause frequenti per incapacità a “trovare la parola giusta”. L’umore diviene più depresso a seguito della consapevolezza della propria progressiva disabilità, oppure la reazione può essere caratterizzata da manifestazioni aggressive e ansiose.
2. Demenza moderata (durata media 2-10 anni):è la fase temporalmente più duratura in genere, ed è caratterizzata da un aggravamento dei sintomi presentati nella fase precedente. Le dimenticanze sono sempre più significative; aumenta l’incapacità di ricordare i nomi dei famigliari con la possibilità di confonderli, cosi come aumenta il disorientamento topografico, spaziale e temporale. In questo stadio la necessità di supervisione e assistenza nelle attività quotidiane si fa più urgente, il paziente tende a trascurare il proprio aspetto, la propria dieta e le attività quotidiane; le turbe dell’umore e del comportamento divengono più rilevanti.
3. Demenza grave (durata media 3 anni):
è la fase terminale della malattia durante la quale la persona malata è completamente dipendente e richiede assistenza continua e totale per mantenersi in vita. E’ caratterizzata da una perdita totale della capacità di parlare e capire, può però essere mantenuta fino a questa fase la capacità di esprimere emozioni attraverso il viso. Il soggetto diviene totalmente incapace di riconoscere i propri famigliari, di compiere gli atti quotidiani della vita come vestirsi, mangiare, lavarsi, riconoscere i propri oggetti personali e la propria casa. Il movimento è ormai totalmente compromesso fino all’allettamento, non vi è più alcun controllo sfinterico.




Curiosità:

UOMINI E DONNE: DUE TESTE DIVERSE

Uomini e donne hanno la stessa intelligenza, ma ragionano con parti differenti del cervello. La conclusione è quella dei ricercatoridell'Università della California (a Irvine) e frutto di una ricerca pubblicata sulla rivista NeuroImage. Sarebbero infatti diverse, tra uomini e donne, le aree del cervello attivate per il processo di ragionamento.
A parità di quoziente intellettivo, spiegano gli scienziati, gli uomini hanno sei volte e mezzo la materia grigia delle donne, che è collegata all'intelligenza generale, mentre le donne hanno dieci volte lamateria bianca dell'uomo, che ha la funzione di relazionare le aree cerebrali. Richard Haier, che ha condotto lo studio, cerca poi di interpretare i risultati ottenuti: “Questo suggerisce quasi che nel corso dell’evoluzione umana si siano sviluppati due differenti tipi di cervelli ed entrambi sono stati in grado di adattarsi e di affrontare la vita sul nostro pianeta.” A sostenere la tesi anche il fatto che le donne utilizzano in maniera dominante il lobo frontale, invece l'uomo è tendenzialmente portato a coinvolgere, nel processo di ragionamento, una zona più vasta di corteccia. Queste scoperte non sono semplici curiosità scientifiche, ma potrebbero avere una grande importanza per lo studio di terapie riguardanti la demenza e le malattie neurodegenerative. Per portare a termine la ricerca, Richard Haier e la sua equipe hanno impiegato dei sofisticati scanner per la risonanza magnetica, incaricati di osservare le zone del cervello coinvolte durante i test intellettivi e gli stimoli a cui sono stati sottoposti i volontari dello studio. Con tale metodologia di lavoro e grazie anche a software avanzati, gli scienziati dell'Università della California sono così riusciti ad ottenere una mappatura delle zone cerebrali coinvolte nel processo di ragionamento e a seguire l'attivazione dei neuroni in relazione a stimoli diversi.

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